Da Compianto, vita

I

Ho fermato il mio camminare –

E si è fermata la città.

Mi si è fermata addosso. La sua
luce
si è fermata.

E sono restato là,
come uno può restare

vedete, là

davanti al buio di quel porticato
in quel nero dove passano coppie, piccoli
gruppi di persone, o uomini solitari se ne vanno
e vengono, e in quell’andamento, in quello
svanimento sembrano le ombre
del cinema.

Forse sono sogni…
e nel buio dei portici chissà dove stanno andando
si perdono le voci, si spengono
le risa, e i nomi
i nomi che qualcuno sta chiamando…

Giovanni! Maddalena! Maria!

Prima Bologna mi girava intorno,
camminavo, andavo
e lei mi guardava
dai suoi palazzi, dalle vetrate
donne che traversano
le luci dei negozi, guardie giurate
e autisti
fermi sulle strade,
bambini che scompaiono come gli anni
nei portoni, i corpi tristi
disegnati a matita
sui grandi autobus smarriti nel traffico
come elefanti nel circo
e certe impossibili signore, il ragazzo
che barcolla nella luce
quella luce livida, di orrore – –

Bologna come girava!

io andavo, tu andavi, poi si resta
a volte a guardare cosa va via nel buio dei portici…
Ecco, i cortei, quelli di protesta, ma anche quelli
di festa,  avanzano, quelli per Carlo V
imperatore, quelli per l’amore,
apre le finestre su quella nuova la città antica
c’è l’erba buona e anche il loglio mai vinto,
i soldati morti di fatica
i mercanti che hanno il corpo
e anche la testa come nel ‘400,
passano i Bentivoglio,
a loro si mescola una folla di questuanti
e ai loro levrieri rosa e color cenere
altri si affoltano
nuovi randagi, conciati, neri
        e i cavalli, sì,
vanno vengono i cavalli, gli scooter, le grida
i drappelli di studenti,
le loro occhiaie di bragia
il dolce strazio
i capelli colorati e quelle risate mio Dio,
le birre in mano, tutto il tempo
che si confonde,
il tempo e anche lo spazio,
quelli accucciati
in via san Vitale come a Rabat

camminavo! andavo! E giravano le strade
la città, il cielo,
il cielo come una bandiera
batteva sui tetti, dietro le torri,
gli spioventi,
filavo, andavo
la città mi viaggiava intorno
mi viaggiava dentro.

E ora mi si è fermata,
                                  fermata addosso.

Vedete?
             Questa è
l’ora che tutto si volge al desìo,
l’ora che le donne alle finestre
si voltano verso il sole, caduto,
l’ora che fa Bologna perfetta
in questa luce di fine giorno
che rende nuovissima
intatta
la linea dei colli intorno
e la successione dei tetti,
e viene a tutti il desìo di cosa,
di cosa
di non morire ? o di una carezza
soltanto ? di fare canestro nel cestino
uscendo dallo studio
di camminare vicino a quei fianchi
che stanno ondeggiando
tra la folla sotto i portici
e sotto i portici svanendo
o forse di fermarsi nel bar
in una piazza, di bere qualcosa
guardandosi finalmente nella rosa
del volto, via dagli schermi degli uffici,
togliersi la giacca
facendo un arco, un lampo
di camicia bianca,

l’ora che la bellezza di Bologna
appena dopo essersi sentita stanca
si fa quasi insopportabile
e il desìo, il desiderio, la stessa
parola più dolce e appuntita,
non sa come fare a stare così
senza misura, senza obiettivo,
e nella luce bionda mietuta
avvampa
come una febbre chiara
di voler piacere e una specie di dolore,
la mano porta alle labbra l’aperitivo
e c’è una spina
nel cuore che come può
si consola,
quando su Bologna divampa una luce d’oro
poi declina
e lei apre piano i suoi occhi viola…

II

Ho fermato il mio camminare.

Davanti qui
a Santa Maria della Vita –
lo strano nome da dire e ridire…

Che posto è
la Vita
con il portico detto della Morte
sul lato opposto…

Perché nominarla così…
per cosa dire…

Come a non poterne più
di chiamarla soltanto
Madonna. O soltanto  
Maria del Rosario, o del santo
Carmelo. O inseguirla Maria
dell’acqua, del fuoco,
dell’olmo, sì, ma anche del faggio,
Maria degli indios ma anche
degli spagnoli, del mare
ma anche dei pescatori,
e dei bagnanti
ma anche dei bagnini,
dei giudici ma anche
dei ladri,
dei santi ma anche dei peccatori,
dei nobili e dei vili, della fortuna
ma anche Maria del Soccorso,
            non sapere
più come chiamarla, dopo
che l’hanno detta, lei, semprechiamata,
Maria della Rosa
o dell’anno trascorso
del cardellino, della torre
o di ogni dolore, e di ogni sorpresa

lei che tutti i nomi li fissa, li fa fiorire
e poi se ne va
eterna ragazza di Dio,

e allora qui l’han chiamata, per il vicino
ospedale, per l’essere così vicina
al male,
non potendone più
e vedendo che in ogni nome lei
sembrava andare via,

splendida ragazza dell’eterno restava
ma anche sfuggiva,
      Maria
del roseto ma anche del monte,
della quercia ma, via, anche là, della fonte,

per farla restare, non andare, Maria,
vedi come si può soffrire, lo sai tu
non andare via, l’han chiamata con il nome
minimo e supremo

stringendo il pugno nel letto
con il nome che andava via dalle loro labbra bianche
e dai petti rapiti nell’ombra

l’hanno chiamata
con il nome semplice che solo a ripeterlo
mette i brividi e il magone

con il nome di tutto quel che si ha e che si perde:

Maria della vita, della vita…della vita…vita…
Maria della vita mia.

        Non c’è nessuno qui, stasera.
Viene una notte elettrica, nera,
un viola quasi verde.

Sono entrato solo.