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Se ne fotte se non la chiamano più regina.
Lei lo è, anche se il trono è finito chissà dove, e la corte è dispersa.
La voce è forse un poco arrochita. Ma quando si propaga nelle stanze, per i corridoi pericolanti e per le scale che da tempo quasi nessuno percorre,  ridiventa la sua voce di ragazza, ritrova il suo tono, la nota. E la sua eco è sempre quella. Non c’è chi, anche tra coloro che stanno combattendo per un pezzo di stoffa o un cartone di riso, non la riconosca. E nel gesto, in certi lampi degli occhi, si vede ancora benissimo da dove viene la Signora.
Io sto vicino ai gradini. Mi ubriaca la mente, la accende. Mi fa essere più ragionevole e più matto di libertà. Mi sbatte contro il muro. Mi lancia verso la grande aria del mare. E poi sosta. Lascia appesi col cuore alla luna. Sempre notte, sempre giorno. Non so cosa farci. E’ lei, la poesia.

“Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore rida la primavera…”

 

 

 

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