Estratti – Rimbambimenti

I

Il mare l’han fatto apposta
per farlo sembrare ismìto

con quelle ondine che arrivano
e si rompono tutte in mille riflessi
come fanno

e lui se ne resta lì, con le infradito

il piede sabbiato

non stacca gli occhi dal bagnasciuga
a pensare un pensiero che non pensa niente

e però ha una luce
quasi pari a quella del mare.

E sembra proprio un ismìto

uno che ha negli occhi
qualcosa di scemo
o di infinito

3

Forlì, Forlì stazione di Forlì! veniva anche di notte
la voce dai vecchi megafoni
sospesi sui binari a pochi metri
di là dal piazzale dove iniziava
con la mia casa e il bar
il viale, si infilava nei sogni bambineschi
rari –
 
i sogni li ho mai ricordati, ma quella voce stanca
sì, non del tutto rassegnata, “Forli’,
Forlì stazione di Forlì” a ogni ora
nei pomeriggi dilatati
o nelle sere viola

chi sa se qualcuno davvero li ha ascoltati
o eran dati per abitudine sola,
avvisi perduti
suono un po’ matto tra la pianura
e i paradisi…

Mi entrò dentro come un destino
o una maledizione, per questa vita
di pianti e sorrisi
tra stazione e stazione, suoni,
rimbambimenti, voci strane
che avvisano i viandanti…

VII

Autocoscienza romagnola I

La vita, dice, la vita va in vacca
se quando lo fai
non t’accorgi più
di fare il patacca.

Autocoscienza romagnola II

Cos’hai da sgassare
così da fermo?
non vedi che fai solo del casino ?

mi guardò con una sbarra di stupore
negli occhi: ma così la morte
non mi viene vicino…

Autocoscienza romagnola III

Dicono: vi piacciono le donne.

E’ vero. Ma soprattutto
quando han le gonne, e le vedi
camminare.

Forse è che ci piace il mare…

Va la’, va la’ che quando le avete per le mani!…

Oh, ci piacciono in carne, gentili,
le amiamo quasi con furia
come non ci fosse domani.

Forse è come naufragare…

O come un allegria, ma così forte
così forte
finisce che ti porta via…

Ma dove, di’ ?

Oh chi lo sa, ma è come quando vai al mare
e non sai perché
ma sai che dovevi arrivare lì

Autocoscienza romagnola IV

C’è posto per tutti

i santi, i mediocri, i matti
i perduti

La vita è come un bar: sai mai
chi entra, chi va via

si sta lì a guardare
come se ci fosse qualcosa da fare
oltre a baccagliare muti
con la nostalgia.

Autocoscienza romagnola V

Mica è facile far sempre gli sboroni.

Mica ci pensano, gli altri, alla perseveranza.

Ci vuol delle cisterne al posto
dei maroni.
Ci vuol della costanza.

E una fantasia che anche con niente
sembri d’avere dei milioni.

Le cose viste più grandi
di quel che sembra in apparenza,
i rischi, le prove, le prestazioni.

Insomma, perdonatemi
la sparo grossa, un specie di speranza.

Autocoscienza romagnola VI

La cosa peggiore dei fidanzamenti
più ancora che dei matrimoni

è quando la donna diventa
un gatto attaccato ai maroni.

XII

Bicio, nome niente

poco meno di un bacio

padre di mio padre sperduto nelle nebbie
del passato

sei ritornato, un gesto, mezzo
sorriso

dove te ne vai da così tanto, cos’hai da fare
sei ancora nel commercio ? e in paradiso
hai messo su bottega ? parli con gli angeli
al bancone alla mattina
con il mozzicone di matita e l’universo

fuori nei riflessi della vetrina ?

XIII

Dove sei, dice al niente

dove vorrebbe vederla apparire
come se si aprisse la porta del bar
e non fosse quell’albanese ad entrare
a ingobbirsi alle slot-machine

ma lei per un altro povero cin-cin –

dove sei grida la sua mente
e spacca le vetrine di tutti i bar
dove sciamano bande
di tristi giocatori del destino e non lei

dove sei, altra coca-cola altro gin –

finchè il suo corpo non ha più nulla da gridare
e solo si riduce ad aspettare
come se non ci fosse nient’altro
da fare, entrare
e uscire dai bar

dare un’occhiata
alla strada a fumare,
sorridendo fuso, gentile

nella gloria dura della città

e per i segni dell’arrivo
della mai meritata felicità –

dicono che da quando gli è venuto
un quello
non gli va più insieme il cervello

che lo han visto
cantare dormendo su petti casuali, e in un bar
di Caracas o era Brasile o qui
sui canali, sì, e addirittura
ballare…

XIV

Ci si sfiancava in bici
fino al mare
si diventava amici
senza parlare

con il cuore aperto
allo stesso desiderio
d’essere felici
di poter amare…

dove sono finite le vostre corse,
sentite come me ancora quell’aria
quei morsi ?

Sì, Franchini
è stato il primo poeta che ho avvistato
era rattratto ma girava
con una moto da pista
da bambini

e sorrideva coi baffi sottili
suo babbo mi guardava ma non lo diceva
che a far le scale con lui adulto addosso
non ce la faceva,

ma Franchini alzava
il braccio ramo ritorto al cielo
e scriveva poesie piene di pianto, di fede
e d’amore – –

ho girato tanto Franchini, di poeti
ne ho conosciuti parecchi, ma credi
il tuo gesto ancora mi fulmina
e l’arrivo
della tua strana carrozza

dovunque mi sorprende,
la tua allegria mi strozza
e difende

la tua poesia mi illumina

  …concludendo, quasi cantando…*

Bella burdèla, ragazza
fresca e romagnola

dagli occhi e dai capelli
come la tenebra

dalla bocca più rossa del sole
che scende re di eserciti silenziosi
tra i rami dei frutteti

tu sei la mia morte.

                                 Batti
batti il mio cuore
                               è fieno,
è paglia, guardami
occhiata come mitraglia, uragano
tra le ciglia, basta
un’occhiata e mi porti via

che è bello far l’amore in allegria –

in me
diventa tu ferita

ma in cambio dammi un bacio,
l’inizio tremante, nudo
della vita…

ripresa delle parole di una famosa canzone romagnola, bèla burdela…
bella ragazza…

Tango del sorriso

Foglia, o dolce luminosa
spada,
bosco, o di luce prodigiosa
rada

chiaro riso dell’onda da chissà dove
risale –

quando sorridi amore nella danza che ci unisce
e separa
nel giro così corpo a corpo che l’anima
prepara

non vedo più la morte sbattere tutte le sue mille
porte, non vedo nei giorni
il cielo allontanarsi con le mongolfiere

ma vedo tutti i possibili ritorni, quando ridi
luce che in un giro di tango t’incidi

e la resurrezione che inizia
tra il mio respiro
e il tuo.

Tango sottovoce II

Tienimi. Mentre il mondo passa
urlando.

Mentre i i fiori silenziosi
si chiudono
e si affacciano le stelle.

Mentre milioni di pittori angelici
preparano l’alba. E le
vetrine si accendono sui viali
trafficati, mentre gli uomini
si svegliano al loro posto
o altrove e i leggerissimi i tir
svaniscono come ultime ombre
azzurre sulle autostrade, mentre

Lisbona guarda New York
e il cerbiatto guarda timoroso la radura,
mentre molti godono e ballano,
le luci del porto feriscono
e le stazioni ci inghiottono
e i portici ci disegnano, mentre
molti piangono e cercano
come rialzare lo sguardo, tienimi

mentre va in scena il mondo
tremendamente
e il cielo segretamente lo tiene…

Tango sottovoce I

Quando l’Italia diventa tropicale, e le pietre
bagnate splendono nel sole dei temporali,
i capelli delle ragazze sembrano dipinti
sulle fronti e i vestiti felici d’acqua,
quando si rompono le nubi del cuore e dei cieli
cantando,
e non funziona il governo,
i bus rallentano, non funziona più
il tempo ma solo
la pioggia e i segni dell’eterno
            e le rondini, le rondini
attendono negli antichi muri forati
come i baci nel cuore, quando
le piogge illuminano d’argento le piazze
e tu esci con l’ombrello di carta di giornale –

vederti è vivere e morire, è
tutto quel che devo fare
nei giorni di vita o come chiamare
questa festa dolorosa e confidente,
vederti mentre gesticoli al telefono davanti
a una delle belle facciate
di una città italiana che preziosa, rara
sta rischiando di svanire –
                           vedi come il cielo rischiara  
e le rondini volano esatte
ed impazzite di luce –
                tienimi
quando viene la notte
di tutte le notti
e con gli occhi feriti di dura
bambinesca gioia
si cerca il giorno nel giorno –
                     non ho paura
della tua bellezza
che interamente mi brucerà,
del suo cenno regale
che in me diventa temporale
e alberi, sospensione di canti, città…

A M. luglio 2009.

Tango di Borgonovo*

Dici: ogni mattina devo atterrare piano
dal sonno dove sono un altro alle mani
che mi legano ancora un giorno nel letto, ogni
mattina mi devo ricordare chi sono…

e dove ha rallentato, poi si è fermata la corsa
a perdifiato, dopo il goal o cosa era
che mi ha portato fin qui dove nulla
si  muove di me e la lastra dei giorni

incido con gli occhi…

                      Mia moglie
ha nome francese e sa graffiare
mi sta guardando diminuire ma io nel suo sguardo
divento invincibile
e ogni stadio di fantasmi posso ancora
attraversare.
            Mi chiamo
come un capitano medievale,
Borgonovo giocatore di pallone
ma ora i campioni miei compagni
che sul campo correvo ad abbracciare
si fermano ragazzi, dolci ed eleganti sulla porta
e non sanno cosa dire.

Cosa dire l’ho imparato io, notte
a notte come un bimbo
impaurito tra i lupi, guardando
con gli occhi sbarrati nel silenzio
la bocca di Dio
che soffia e fa suonare i boschi, disegna
le nubi, e nei deserti fa battere le pietre,
schianta pianeti nel niente, e fa
un nuovo tifo per me.

Ma ho un sogno, dici. Una mattina alzarmi
e andare – non molto lontano, di là
nella stanza delle mie figlie:
poterle io, solo una volta, svegliare…  

*Stefano Borgonovo, campione di calcio di serie A e della nazionale italiana, è stato colpito da Sla a fine carriera.

Tango dell

Ballo lentamente con le tue ombre,

non respiro,

vengono da tutti gli angoli della stanza
e da tutti gli angoli del mondo, un giro
solo con ognuna di loro
e piango e ammiro
il tuo volto che velato mi portano
via…

Tango dell’anima mia che ride
anche se più non ti vede
e cede in ginocchio all’andamento
così lento, così lento
del ballo che disegno da solo…

O non è solitudine la luce che in silenzio
deflagra bianchissima e cieca,
non fa l’anima agra, la invita
estrema ala di angeli fuggitivi
nel tuo sguardo la invita a essere
anima ancora,

pazientissima e incendiata, anima
sempre, aurora

Tango della fretta

Dove hai messo le ore, mago
furbo e divertito, dove
nascondi il tempo che credevo
di avere davanti e ora corre
per azzurre colline
dietro alle mie spalle, o giù
nella valle verdebuia, tra i frutteti
ventosi della vita ?
che gioco di prestigio hai compiuto,
cosa è potuto accadere
con le ore, le stagioni,
le ere ?

Mago, angioletto o piumato uccello
della rapina, sempre ti sei ingegnato
con me a scambiare la notte
con la mattina, a chiamare il buio
dentro al mezzogiorno, e a togliere
molte ore di torno…

Ora ho pazienza o vado in fretta, è lo stesso,
io so che nessuno,
ti può fare fesso, e correre, vedi,
è come danzare,
non c’è ansia, mi piace l’aria nell’aria
respirare

Tango delle citt

Abbiamo la nostalgia che volta
l’angolo e diviene
allegria
         abbiamo

la luce del sole prodigiosa
che in un istante tra gli addii dei tetti
scompare

         ma torna radiosa negli occhi
di donne che si coprono
di nubi e di vigneti.

Abbiamo bambini tra i colonnati
ombre inventate dai pittori,

e solitudini che piangono da millenni,
uno stormo di preghiere pazze
di cori di peccatori, abbiamo

una giovinezza che non vedi subito
se non hai occhio di principe e bandito.

Siamo le città della patria che non esiste,
ognuna madre, fortezza e inespugnabile
carezza

traversate dai colombi, dalle visite lentissime
alle tombe, dai riflessi delle acque

città perse nelle nebbie e nelle piogge,
come nelle cascate del sole, così pazze
e sagge.

Ognuna balla da sola, o concede un giro  
a un re dallo sguardo straniero

e poi abbraccia di nuovo solo la propria luce,
lanciando da torri e finestre
la pena e l’amore in una sola voce

Tango della fatica

Ma va via come una bambina
tutta la fatica del mondo

davanti al tuo viso, amore

va via come finisce la schiuma
di birra in un bicchiere
                        buio di tante sere

e la pena di anni e la
bestemmia tra i denti
dimagrire della luce in petto –

tutta la fatica va via, se ne va,
     polvere lunare
dalle vie deserte del viso

e i campi e le città la benedicono
quando all’alba la vedono diventare
alberi.