Conversazione con Roberto Benigni
Rondoni: E tu, Roberto, non hai mai scritto una poesia?
Intervista di Gabriella Fantato
della rivista "La Mosca" di Milano
1. che cos'è l'esperienza della poesia? L'esperienza si traduce a noi e per noi secondo ordinamenti lessicali e grammaticali predeterminati per cui nessun'opera giunge a se stessa o a noi de novo. Celan ha detto "non ho inventato nulla". Come può il linguaggio re-inventare, ri-petere chiedendo di nuovo ? se l'opera creata nasce dalla libertà di non essere o essere diversa, cosa s'inventa e cos'è l'invenzione che la letteratura e la poesia soprattutto rivendicano con insistenza ? il linguaggio tradisce e tradisce se stesso. Può dire contemporaneamente una cosa e il suo contrario, diventando falsità e oscurità. Come affidargli in queste condizioni quel supremo viaggio verso la verità, verso il "transfinito" ? come può essere un indicatore legittimo di ciò che sta al di là di lui stesso (Steiner) ? quali autori in questo senso rendono la poesia più vera, più presente ?
La lingua della poesia nasce come tensione, come entrare in tensione sempre nuovo, di fronte alla provocazione del reale. E' una lingua che ascolta un'altra lingua e ne risuona. E certo questa tensione non è una faccenda meccanica, ma c'entra con libertà dell'uomo, dunque con la possibilità che l'uso che egli fa della lingua sia verso la menzogna e verso l'allontanamento dal vero del reale (che è ultimamente mistero). Il viaggioverso il segreto del reale non è una proprietà meccanica del linguaggio. La libertà è la natura di quella tensione in cui entrano le parole, facendosi ritmo, evocazione, immagine, discorso musaico, quando la realtà in qualche suo particolare ispira (cioè dà fiato, respiro) a chi è poeta, cioè a chi è attento, a chi ascolta.
In questo senso i poeti migliori son quelli non "egoisti", come diceva Rimbaud, ovvero quelli per cui l'avventura personale, come in Dante, è viaggio autorevole, cioè che aumenta la vita di tutti, come coscienza critica, e dunque come risveglio della libertà.
2. poesia come inseguimento di tutta la vita/ che c'è nella vita…perché ogni cosa ha un segreto/se non lo domandi scompare?
Il segreto dell'esistere può non apparirci più, se non eccezionalmente e in cose traumatiche, se non impariamo a vederlo, a vederlo sempre. Tale imparare non è il frutto di uno sforzo, ma di una educazione. Ad esempio, a chiedere, invece che a pretendere si impara per educazione…
3. dunque una scrittura con l'ambizione impossibile di essere vasta e inafferrabile come la vita stessa, o una parola umile, arresa alla coscienza dei propri limiti?
La scrittura è un'azione della vita, dunque ne partecipa del desiderio e della coscienza del limite. Ma il limite non è contrario al desiderio, semmai è sua condizione.
4. poesia come avventura nel senso della realtà verso l'alterità presente, misteriosa e infinita ?
Tutto è alterità. J'est un autre, diceva ancora Rimbaud, al fondo stesso del mio "io" c'è qualcosa che non è mio, che non governo. L'altro è la grande legge dell'esistenza, come regola elementare per appartenere all'Altro che tutto crea.
5. bisogna aiutare la verità a non fermarsi in se stessa come diceva Bigongiari?
Sì, nel senso che interrogando, come faceva lo "zio" Piero Bigongiari, mettendo sotto interrogatorio l'enigma dell'esistenza si compie un movimento dal mistero a me e di me nel mistero, ovvero nella mia condizione naturale. La verità è per sua natura viva, non ferma. La verità dei matematici forse può esser ferma. L'amore, l'altra parola con cui si nomina Dio, il vero, è azione, movimento, non staticità.
6. stupore e "letizia" invece che disincanto. Il poeta brucia dentro e con la realtà?
Ho parlato di queste cose nei miei saggi di "Non una vita soltanto". Più che di una rigida opposizione si tratta di accenti prevalenti. Intendo che l'arte pone sempre l'accento sulla conoscenza per stupore, sulla possibile traccia di letizia nell'esperienza del mondo (anche nell'esperienza della miseria e del crollo, come tracce sperdute, come domande). Il disincanto degli scettici finisce per annullare il lavoro dell'arte.
7. compito del poeta è conoscere le cose con un'appropriazione d'amore?
E' questo il compito di chiunque ama. Chi ama conosce. Non c'è conoscenza autentica di un fenomeno umano senza partecipazione d'amore.
8. a cosa del mondo assomiglia la musica si domandava Leibniz.a cosa del mondo assomiglia la parola poetica? l'interrogativo ce lo poniamo oggi allo stesso modo di Dante e gli stilnovisti come afferma Maria Corti?
Sì, allo stesso modo. E assomiglia a tutto, essendo una cosa unica, e infatti continua ad esistere come specifico.
9. come si configura rispetto al precedente "Il bar del tempo" questo tuo nuovo libro "avrebbe amato chiunque" ?
Ah, ditelo voi…Io lo avverto più estremo, più duro anche, più abbandonato e, se così si può dire, più rischioso…Il titolo, del resto…Però, come mi è accaduto ascoltando mio figlio di sette anni, anche un bambino può capirlo, cioè entrare nella sua necessità…
10. la sua trama d'insieme ha una strategia compositiva che finisce col coincidere con la pratica di una poetica vera e propria?
Non pratico una poetica. E più che trama d'insieme direi la sua voce, la sua distinguibile povera voce
11. siamo ancora ospiti della creazione dice Steiner. Il grido infinito del poeta dell'era post-pasoliniana deve al nostro ospite il suo domandare?
Se ho capito bene quel che chiedi, sì.
Teatro
Giotto l’uomo che dipinse il cielo (Compagnia Elsinor)
Barabba Il liberato (per Flavio Bucci, Alvia reale e Patrizia Zappa Mulas)
Non sei morto, amore (per David Riondino e Sandro Lombardi)
La locanda, le stelle (per Andrea Soffiantini)
Compianto, vita (per Virginio Gazzolo)
Il veleno, l’arte (per Iaia Forte)
Dalle linee della mano (Teatro Biondo, rega di Pietro Cariglio)
Ti vedo ti vedo
Ti vedo ti vedo
forsennatamente, riappare
come uno stormo dal vuoto bianco del cielo
l'imprevisto che dà amore alla mente
ti vedo nel ridere di qualcuno
che si accende
nel buio dei portici,
in una spalla
solitaria di ragazza
dietro i vetri del tram,
ti vedo un attimo dopo
questa tua giovinezza, mentre
entri nelle grandi gallerie del tempo
ti vedo in quel che ti somiglia
e che non ti somiglia.
Blues stasera del vento
Amami cielo basso
tremito dei rami, amami
dimmi qualcosa di importante
tra le luci delle insegne
e le luci degli amori brevi,
vento, tu
suggerisci qualcosa al mio cervello invecchiato
dove ramifica il corallo
qualcosa al mio petto di zucchero
soffiato – –
e al ventre
che svuotata conchiglia
rimormora il mare.
Carezza vento questi tetti
piatti, le piastrelle e i bambini sulle terrazze, il mio
bicchiere, dimmi
qualcosa d'amore
non tralasciare nulla
lascia indietro solo i lamenti, ma
proprio tutto il resto della vita
canzoni, chiasso di godere, silenzio e maestà,
lunghi sospiri e fiato mozzato
proponi, vento, proponi!
E' la sera giusta stasera,
non perdiamo l'occasione di far arrivare
questo dolce carico carretto
fino all'eterno,
ma muovile
tu quelle ruote, anche dall'inferno
un soffio ti prego
dei tuoi, un soffio…
Un tempo si prepara piumato
e crudele, tredicenni
fissano in un video per ore
la luce senza ardore che viene dalla rete,
seta fuggente sugli occhi
sorpresi fino a sentire un lieve
disagio per l'esistenza del dolore
a bocca aperta vedono
vicina e anche dentro di loro
accadere la morte. Saranno facili
prede impaurite dei venditori che spacciano
un mondo perfetto.
Ma tu vento che nessuno sa dove
dimmi qualcosa di chiaro bene
qualcosa che entri nel midollo
spinale e in quel silenzio nativo
sia difeso, veloce
più dei riflessi sul vetro del treno
che cattura nella luce il mio volto
un istante come un istante
qualcosa più veloce del non esser più niente.
In questa età del feeling
gli scrittori più noti arrivano
alle stesse conclusioni dei pubblicitari,
e tutto è aperto, i musei, i pub e le chiese,
e la domenica le aule parlamentari
per la visita confusa di gente che dice
a tutto è carino! ma non sa più
che cosa è : domandare.
Io ricordo
le mani chiuse di mia madre,
gli occhi chiusi per sempre di Marta.
E che ogni cosa ha un segreto
se non lo domandi scompare.
Daremo figli
alla luce e li esporremo
anche alle tenebre,
a volte faremo grandi bevute
e grida di piacere o di pena
senza imprimere movimento
a tutta la vita che c'è nella vita?
Il buio è solo il buio
godere è godere, gli oceani
in silenzio solo vasto
silenzio di oceani?
Ma il fuoco chiaro, febbrile del giorno
che scende tra gli alberi
– chi lo guarda? chi è esperto
dell'aria,
del dolore?
chi segue le linee sulle mani della betulla
e avverte lo slegarsi di molecole,
la notizia minuscola in cronaca
come qualcosa che riguarda il suo amore?
Dove sono bestemmia e visione,
rompere i gusci delle buone maniere.
Far di sé
un ufficio reclami
dove si sfogliano riviste ed è vietato fumare
non è dignitoso e nemmeno dà gusto
far di sé un silenzioso, placido
acquario non so se valga la pena,
preferisco all'equilibrio il viaggiare
su quel che resta d'un vecchio fusto
che in pericolo inclina
inseguendo lei, Moby, ballerina
balena che ci trema al centro degli occhi.
Niente è come entrare
perduto sotto le volte di una cattedrale.
Dire piano ave Maria il mondo non va via.
O camminare
verso il volto
che non ha scandalo del male.
Eh, che cosa
afferrare se non quello
da cui siamo sempre afferrati?
La semplice conoscenza del movimento
nel camminare in viali trafficati,
come l'uomo che si arresta per le scale
e non ne ricorda il motivo,
la sorpresa
di lavorare nel medesimo lavoro
che muove tutte le ore nella creazione,
il fiore delle figure in cui si tengono
i pianeti e quelle sulla scrivania
lasciata in ordine dalla segretaria
prima di spegnere la luce, andare via.
Amami cielo basso, io lo so
che l'amore sempre stupisce
e sempre lavora,
lo so anche stasera che qualcosa di più
di questo whisky nel bicchiere finisce,
alzando gli occhi che hanno febbre
sulle luci di una città italiana
che incanta e ferisce.
Tu vento che nessuno sa dove
continua a disegnare figure che non comprendiamo
nel movimento delle nubi
sul lume debole di luna,
nelle ombre dietro i vetri della mia casa
nel palazzo che ho di fronte.
E lascia che canti in questa notte
un viso che ha dolore e lode
in parti uguali di sguardo.
***
Suite per Irene
I
Irene s'è uccisa a tredici
anni. Ha scelto
per il suo volo di morire
lo stesso giorno di Cobain.
Sua madre mi dice:
proprio ora, stava per fiorire.
E altri stormi di parole
la traversano in molte direzioni.
Io dico solo: non l'hai
perduta, il mai non l'ha
rubata,
è Irene
nel mistero, i suoi
pochi tredici anni
sventagliati nel puro vero.
E: vedrai
la croce ora dentro alle tue mani
che non ne sapevano niente.
II
Pagherete per Irene
pagherete caro, dico non so bene
a quale dei fantasmi onnipresenti,
video-petulanti, ai maestri quasi tutti
orrendi
nella retorica che si son cuciti
di artisti o presidenti.
Su di lei
in lei, chi ha fatto pasto ?
molto è per sempre
nascosto, ma una favilla
di fuoco
deve bruciare sugli occhi
di chi fa del nero inoculato ai ragazzini
la propria spettrale,
ricca professione.
Nei giorni del primo
sangue, della prima rosa, dei primi
pensieri che seguono l'arco
dei cieli, nei giorni della clamorosa
scoperta d'essere nell'universo, cosa
offrite, cosa?
Videogame e oblìo
orbite vuote di cantanti, il becco
degli spot, i fiori persi
delle paure
e coccole e un dio
banali come scrupoli – –
pagherete per Irene, per la corona
di spine
che le avete posato sui capelli.
III
Ha raccolto i tuoi anni in una fascina
li ha alzati su uno dei vasi più belli
di vetro spesso, luminoso
dove li tocca sempre il vento
e si vede l'azzurro della collina.
Il tuo angelo custode aveva gli occhi sbalorditi
e gli altri angeli a doverlo consolare.
Vorrebbe aver lui colpa di tutto
ma gli altri uniti: se Dio toglie
la libertà, la vita è
solo immalinconire.
Irene, dolce fascina,
passando per il terribile
hai trovato la fiamma
chiara dell'invisibile.
E la alimenti, la presenti
correndo lungo i nostri muri.
Dammi le chiavi della solitudine
per entrare nella sua ultima parte
– ne tocco le porte
da giorni con le mani
e una voce le ritira
sempre più nel buio
sono schiene
di belle signore sotto poca
luce
lepri o altre
prede
alzate nella penombra
quella fortezza è un aprile chiudendo i miei occhi
le bianche guardie
addormentate alzano appena il ciglio
al mio passaggio
– Signore delle solitudini in corridoio
della sigaretta fumata con un estraneo
vieni dentro le notti fredde
ti vedo, sei in questi pub
deserti dove la musica
pulsa e sotto la luce vuota
la stanza dilata
dove o ti siedi
con me, o ti siedi
con me o non esisti, svanendo insieme
alla schiuma della birra
e al tuo nome che dicono invano di Dio
Voler bene a una persona
Voler bene a una persona
è un lungo viaggio – –
rupi, cadute d'acqua e bui
improvvisi, dilatati
il chiuso di foreste,
lampi a volte
sul silenzio così vasto del mare
e strade sopraelevate, grida
viali immersi all'improvviso
in una luce sconosciuta.
Voler bene a uno, a mille, a tutti
è come tener la mappa nel vento.
Non ci si riesce ma il cuore
me l'hanno messo al centro del petto
per questo alto, meraviglioso fallimento.
Sugli altipiani di ogni notte
eccomi con le ripetizioni e le mani rovesciate della poesia:
non farli stare male, sono tuoi, non farli andare via
Guardano i miei figli come un evento
fuggire la palla
dalle loro mani piccole,
il fruscìo sotto la siepe
di un gatto nel cortile
il camion muggire chiuso
nelle vie strette cittadine.
Non hanno gli occhi delle mie solitudini
sulle strade dove li accompagno
nella penombra dove divento loro padre
– di là dai vetri mi traversano alberi
persone ferme
in attesa di un tram
un'acqua ripida di auto
e motorini, qualcuno
che si appoggia a una colonna, ferito da cosa,
lungo il porticato.
Loro mai fermi sui sedili dietro e accanto
hanno il nascere nel sangue,
la luce nelle domande
succhiano da grandi bicchieri, sbriciolano
da sacchetti di pane.
A ventaglio si apre
il loro vivere nel mondo.
Cosa mi attende
andarmene in un lampo,
lasciar la guida, o ancora
essere un re per voi, e poi
servirvi io diminuendo
ritornare un po' bambino
usare un giorno io l'altro sedile
e poi finire dietro il vetro,
invisibile al vostro
viaggio, vivo solo
nel vivere così grande che ci ha preso
(e che tutti cercano,
il camionista
che s'è perduto,
le persone che scrutano la via
per vedere se c'è il tram,
e quello
che non è più alla colonna,
svanito lungo il porticato…)
a Bartolomeo, Carlotta,
Battista e a chi sta arrivando
Trovare in casa all’alba
i vostri giochi, uno Zorro
trasformato in motociclista
o su un cavallo sproporzionato,
un telefono colorato senza pile
un laccio delle scarpe
o una maglietta che sollevo adagio
i segni di una terra,
di una riva che non vista
si sporge al mio naufragio.
***