Oceano, cucina

I

Verrebbe da dire: me la sono cavata,
fermo stanotte
al tavolo della cucina
mentre qui intorno nelle migliaia di appartamenti

come in strani cunicoli sospesi per l'aria dormono tutti
e l'argento della pioggia finisce nel buio.

Verrebbe da dire:
me la cavo con l'affitto e sorrido ai miei debiti, ma
cos'è ancora questo vino luminoso
e violasangue che mi esce tra i denti,
le notizie come stelle terribili in mente

non si dissolvono i fantasmi d'amore seduti,
la luce sale, li sbianca, sono il viso
di donne, le mani di stracci, carta pesta
e amici che si voltano nell'acqua degli anni.

Il mio amore non sta ancora fermo,
mi alzo ed esco in terrazzo, il cuore è un puma
sulle alture, ho gli occhi di mio figlio,
stanotte é la prima notte del mondo.

 

II

Verrebbe da dire: me la posso
cavare. Ma una volta mi fermai

sul molo di Stone Island
in un mattino splendido, ghiacciato
nel mezzo della corsa
della mia esistenza e sentii

tutta l'oscurità del mare,
l'enigma, il suo respirare

che arriva in questa cucina, in una città
italiana, nel silenzio spogliato,
ed è il vibrare del frigorifero
a trovare la stessa nota dell'oceano,
la luce del video

acceso a nessuno
rende a queste stanze un chiarore di fondale.

Verrebbe da dire : me la sono
cavata, ma non è mai detto e non è
nemmeno giusto da dire
se l'infinito un giorno

e molti giorni in una vita
 ti viene a visitare.

 

 

 

 

       

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